Alla luce delle conseguenze dell’epidemia Covid19 che ha visto crescere esponenzialmente quelle attività di filantropia dell’emergenza che hanno risposto, con un intervento anche massiccio ad una situazione di crisi, ci si è posti il quesito se questa modalità di aiuto può avere una validità sostanziale soprattutto a medio lungo termine.
La risposta non è sempre favorevole, anzi:” la filantropia emergenziale in certe situazioni può essere più dannosa che vantaggiosa” come fa notare il professor Stefano Zamagni, citando Darren Walker, presidente della Ford Foundation, tra le più longeve e importanti fondazioni d’impresa d’America che argomenta questa tesi nel suo libro “From Generosity to Justice”. Come tutte le attività che non sono pensate in modo strategico, la filantropia emergenziale non contribuisce alla trasformazione delle aree di criticità o delle diseguaglianze sociali, non interviene sul cambiamento, che è l ‘altro percorso per uscire da una crisi e non rientrarci più. E’ un tipo di filantropia di tipo addittivo che non ha un percorso e una visione e risponde, pur se con generosità, solo alla crisi momentanea. Non solo, il ricorrere a una filantropia dell’emergenza rischia di danneggiare in modo consistente tutto il terzo settore creando una situazione di crowding out, cioè di spiazzamento, di chi donava abitualmente a ONG, cooperative, associazioni di volontariato a destinare le loro donazioni solo nell’ottica del settore colpito dall’emergenza. Si chiude un buco per aprirne un altro, in poche parole.
L’articolo intervista al professor Zamagni di cui abbiamo redatto questo abstract lo trovate qui:
Grazie a @secondowelfare e @Fondazione Bracco per l’interessante e utile approfondimento.
(photocredits: Markus Winkler_Unsplash)
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